Nel dialogo sui temi della “fine” e dell’“inizio”, che si sono tenuti in Oasi nel weekend del 18 e 19 gennaio, i gatti diventano un meraviglioso e, talvolta, doloroso pretesto per parlare di noi stessi. Queste due parole evocano momenti di passaggio, trasformazioni profonde in cui le cose si mostrano nella loro essenza. E quando, a farci da specchio, è un gatto con la sua indipendenza, dignità e forza di carattere, non possiamo che guardarci dentro.

E., ad esempio, si è trovata a vivere una situazione complessa e delicata. In quel momento, è stata proprio una gatta, la sua amica e compagna, a guidarla lungo un percorso di emancipazione. E. racconta di aver ricevuto da questa creatura speciale degli insegnamenti preziosi, che l’hanno spinta a chiudere una relazione sbagliata e a costruire le basi per un nuovo inizio. La sua gatta le ha insegnato a essere autentica, a rispettare la propria natura e a non lasciarsi condizionare dagli altri. Ma c’è stato anche spazio per un’altra lezione, forse la più importante: la capacità di esprimere dolcezza e amore autentico, mantenendo la propria dignità. Oggi E. e la sua gatta hanno trovato la serenità, e auguriamo a entrambe di custodire nel tempo la forza di questo legame unico.

Per C. e S., invece, la parola “fine” ha assunto il significato più doloroso di una perdita: quella di un gatto amato. Entrambe descrivono questa esperienza con la stessa espressione: “Abbiamo perso un membro della famiglia”. Una frase che racchiude tutto l’affetto e il legame profondo che si può instaurare con un animale. Tuttavia, questo sentimento spesso si scontra con l’atteggiamento di chi considera i gatti solo degli esseri inferiori, arrivando a dire: “Era solo un gatto”. È in questi momenti che sorge una riflessione più ampia: cosa significa davvero “famiglia”?

Abbiamo ricevuto tre risposte diverse, come è nello spirito della domanda filosofica: la famiglia è amore incondizionato, un porto sicuro, una presenza costante. Tuttavia queste risposte hanno in comune il fatto che il concetto di “famiglia” non viene associato necessariamente a un legame di sangue, ma a qualcosa di più profondo e universale. In questo senso, due gatti che ci accompagnano per anni possono rappresentare una famiglia molto più autentica di relazioni parentali fredde o distanti.

Un paradosso che si riscontra nel racconto di C., che ha parlato della solitudine del suo dolore, non condiviso e non riconosciuto come degno di conforto anche dai familiari più prossimi.

Questa distanza tra l’esperienza solitaria del dolore e la visione di chi considera “un gatto solo un gatto”,  fa pensare che in molti di noi sopravviva ancora il pregiudizio cartesiano del considerare gli animali come “oggetti” e non come “soggetti d’affezione”. “Ma questo paradigma sta lentamente cambiando.”, dice P., posti come l’Oasi Felina dimostrano che la sensibilità nei confronti degli animali e di chi se ne prende cura sta crescendo. Naturalmente anche questo, come tutti i cambiamenti, richiede tempo”.

“Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?” si chiede Raymond Carver nella sua celebre raccolta di racconti. E forse, riflettendo su questi temi, potremmo chiederci: “Di cosa parliamo quando parliamo di gatti?”. La risposta è semplice: parliamo di noi stessi. Perché attraverso i loro occhi e i loro gesti, i gatti ci mostrano chi siamo e ci insegnano, in silenzio, come affrontare i momenti più complessi della nostra vita.

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